Il "mos": le scatole formali della Tradizione e la sostanza (di C. Lanzi)

Il confronto sull’oggettività o soggettività dell’Essere, del pensare e dell’esistere, sulle conseguenti gestioni dei rapporti umani, sulla leggerezza o complessità con cui si definiscono le priorità etiche, intellettuali, emotive in un rapporto fra due o più individui trova sponde assai diverse nell’universo religioso e filosofico.[1]

La progressiva instabilità post illuminista di ideologie basate sulla trascendenza ha lentamente confinato l’uomo nella fruizione dell’immediato, riciclando e trasformando capisaldi filosofici, in concetti divulgativi rapidamente assimilabili:  la ricerca delle Origini di un’ Etica, per così dire “principiale”, ammesso che esista, ha progressivamente perso senso e interesse per tutti, a favore di un’etica del consumo, della fruizione, della comodità: voglio cioè dire che sta completamente svanendo, anche semanticamente, quell’archetipo di Etica che dovrebbe essere un “assoluto” e che spesso è l’oggetto di alcune branche della filosofia come dell’exoterismo religioso e, in genere, della codificazione civile delle relazioni umane[2].

Non sto parlando, come al solito, di confronti dottrinali tra questo e quell’esponente del pensiero religioso o filosofico o antopologico ma di ciò che permea sottilmente (o dovremmo dire subdolamente) l’orientamento umano collettivo e costituisce, nonostante gli sforzi erculei degli esponenti della filosofia-politica e antropologica, l’antitesi di qualsiasi scuola di pensiero.

Voglio dire che l’erudizione, a mio avviso, non ha mai condizionato l’assetto politico, l’assetto sociale o psicologico delle masse ma è spesso accaduto il contrario: e cioè che uno sconvolgimento sociale pilotato da ragioni assai poco etiche, abbia prodotto un ribaltamento etico e, di conseguenza filosofico sulle “intellighenzie” di varia estrazione.

Per tale ragione ritengo anche che, quale che sia il vero motore della storia umana sotto un profilo etico (e perciò anche della storia della conoscenza e della coscienza) resta un grande mistero quali siano i veri artefici di tale storia, evolutiva o involutiva che possa essere considerata[3].

Questo perché ormai perfino la bontà o la nefandezza di una azione viene giudicata con parametri sempre più relativi ed incompleti. Nessuno ammetterebbe mai deliberatamente d’essere “nel male”. Tutti pretendono (in buona o cattiva fede) di agire per il bene e anche il Bene e il Buono nelle moderne "psicofilosofie" sono ormai oggetti filosofici fluttuanti e indefinibili, permeabili.

Pretendere di esplorare un universo principiale, nel quali tali dicotomie non esistano, non è a mio avviso possibile in alcuna chiave.  Tradire o “reinterpretare” il mos è la conseguenza della parcellizzazione etica di un mondo allo sbando, dove i papi pigliano a schiaffi i fedeli e i Dalai Lama non si rincarnano più.…

E questo, per chiunque cerchi “il Vero” è un bel problema: a mio avviso, razionalmente ed emotivamente irrisolubile.

Buona parte dei  tradizionalisti ante litteram, quelli che evocano un granitico e inossidabile “mos maiorum” o una prisca religio universale, o una inossidabile tradizione perenne alla quale ispirarsi pedissequamente, (parlo dal punto di vista del reale rispetto di un mos e non di una indagine antropologica sui principi religiosi piu arcaici e sulle origine del sacro) non si rendono quasi mai conto (mentre stanno convulsamente chattando dietro i loro piccoli mondi virtuali) di essere ormai fagocitati e digeriti dal sistema stesso che dicono di combattere o quanto meno di “studiare” e che il “progresso” e il divenire divorano velocemente ogni tentativo di conservazione della forma ideale primigenia.

Esistono, sempre a mio modesto avviso, due colossali “contenitori ideologici” o, per usare un linguaggio matematico, due insiemi in cui inserire il mos e di conseguenza l’Etica o meglio le molteplici “etiche” che derivano da vari mos, più o meno identificabili con una o più tradizioni perenni (unite o distinte a seconda della… eziologia filosofica in essere).

La prima “scatola” potremmo definirla sbrigativamente “religiosa” in cui riunisco paradossalmente fede e scienza, anche se apparentemente conflittuali in alcuni momenti storici, al di là di ogni pretesa semiologica. In tale scatola l’ermeneutica del retto vivere è in genere fissata ex cathedra e poi proiettata sul mondo dal trascendente (se religiosa o comunque misterica) o da una teorizzazione logica (se scientifica): a volte rivelata, a volte occulta, supportata da un apparato exoterico consolidato da una potente dottrina teologica o anche matematica ma spesso anche da una grandiosa dottrina misterica, iniziatica o esoterica. Non faccio distinzioni. Le distinzioni dal mio punto di vista, sono un fatto coscenziale e non dottrinale.

1149 MOS ScatoleFormaliTale scatola a supporto dell’etica si sta ormai scardinando velocemente nel tentativo di adeguarsi al “progresso” ma, in realtà, non è facilmente modificabile in quanto pretende di possedere una emanazione primordiale della fede in qualcosa di ontologicamente aprioristico, apparentemente indiscutibile.

Partendo da tale assunto tale fede vale sia per una affermazione del tipo : “Dio è uno e trino” come per “Due rette parallele non si incontrano mai”. Sono comunque due postulati indimostrabili, il primo religioso, il secondo matematico.

Esiste cioè un Teorema (accessibile solo parzialmente attraverso la  ragione), oppure attreaverso la teologia, oppure attraverso la mistica, o la mantica, o l’astrologia o quello che volete. possessore della Verità, o esso stesso coincidente col Vero.

Non sto parlando del Demiurgo gnostico che emana manifestazioni sgradevoli perfino a se stesso ma di un’ Entità realmente astratta a volte sottesa dalla Kabala medievale, a volte emergente nel pitagorismo o nell’orfismo o in tante dottrine orientali, oppure della Evidenza di una non casualità nella formazione del Tutto: evidenza di uno scopo, di un disegno cosmico plausibile.

Alcuni dei sistemi con cui l’uomo si affanna a conoscere tale Evidenza…che così evidente non è affatto, potremmo chiamarli deduttivi e razionali, altri intuitivi o puramente irrazionali.

Cioè andiamo dalla mistica contemplativa alla…matematica, alla ricerca di una teoria del Tutto che tutto spieghi senza ombra di dubbio[4]

Ma ognuno di questi sistemi si basa su una forma di fede, gestita a sua volta da una autoritas (o da una casta) riconosciuta come maggiormente vicina al Vero o legittimata ad interpretarlo. Fede nella ragione, fede nella materia, fede nel visibile, fede nella visione, fede nell’eperienza sovrasensibile, fede nell’attendibilità dell’irrazionale, fede sul fatto che due parallele restino tali o s’incontrino all’infinito ecc.

Il secondo contenitore è decisamente più pragmatico, politico, sociale, individuale e in tale scatola entrano le infinite convenzioni (progressivamente modificate dal potere economico, religioso, politico in essere)  che producono adattamenti e leggi per il governo e la aggregazione civile del momento. Diciamo il “mos civile”.

E’ una scatola prevalentemente “exoterica”, interessata al fare e assai meno all’essere.

Tale polluzione legiferativa del costume cambia ossessivamente i riferimenti etici e quindi i cosiddetti rapporti fra buoni e cattivi o, se preferite, tra…indiani e cow boys.  Quindi è una scatola di forma e capacità variabile mutevole, modaiola, permeabile e assai più volubile della precedente ma in continua contraddizione con se stessa, in quanto la legge di un anno prima non è più applicabile l’anno successivo…

E’ la cosidetta morale dei giudici, dei politici, degli avvocati, dei preti di professione, degli accademici, delle gilde, delle mafie,  insomma degli “addetti laici ai lavori” (In tale scatola il compromesso sociale, la convenienza, la politica determinano cosa è giusto e cosa non lo è o ancor meglio cosa “è conveniente”).

A volte i due contenitori si compenetrano e sono compatibili (forse nel mito machiavellico, assai meno nella realtà).

Altre volte sono assolutamente eterogenei.

Vico, Machiavelli e plotoni di post-illuministi e tanti altri ci hanno lavorato parecchio ma i risultati sono quelli che ci troviamo davanti agli occhi.

Dopo secoli e secoli, anzi millenni, di prove di conciliazione fra la religione e lo stato, fra tradizione misterica e potere religioso, fra guerrieri e sacerdoti, fra mistica contemplativa e gnosi… siamo sempre al punto di partenza.

Tutto, alla fine, si traduce in una dialettica più o meno truculenta sulla gestione di una delle tante forme di potere. Colui che lo ha, relazionando tutto a se stesso, non ha problemi di costume. Il costume è il suo. Chi infrange il potere è malvagio in una subdola congiunzione tra possesso e mos.

Lo sapevano bene i nostri avi (non solo quelli della tradizione occidentale ma anche nell’Oriente, dove le cose non sono mai state molto diverse dalle nostre nonostante il fascino esotico che le rende più simpatiche) con le varie lotte per le “investiture”, le riforme e le controriforme religiose (che spesso molto religiose non erano) e che tentavano di congelare, a volte con inaudibile violenza, un’etica dentro un Rito ed un Rito dentro un’etica con risultati assai spesso discutibili (vedi le innumerevoli stragi di ordine eticamente religioso).

Entrambe le nostre scatole, dunque, possono essere alimentate (per gli uomini di buona volontà) dalla ricerca, quanto meno dichiarata ufficialmente, del vero, del giusto, del buono e del bello, sia per l’individuo che per l’umanità; ma forse assai più spesso come testimoniano infinite indagini storiche, queste crociate e controcrociate sono state mosse da una incontenibile ricerca di potere e di sicurezza.

Non esiste una società (che non sia meramente utopica), che faccia tutti felici, che non punisca o sottometta coloro che “non sono d’accordo” e che non abbia nemici entro e fuori se stessa.

Non esisterebbero i partiti, le fazioni, le sette; non esisterebbe forse neanche l’individuo, con le sue esigenze, bisogni, aspirazioni colossali o meschine, con le sue paure, necessità e conseguenti smanie di potere, di rivoluzioni per ottenerlo e di sicurezza per mantenerlo. 

E tali aspirazioni e spinte sono sempre animate da colorazioni emozionali e intellettuali diversissime.

Creare una società (o più umilmente una confraternita) in cui tutti abbiano (per lo meno formalmente) gli stessi doveri è forse possibile tramite la coercizione (dura lex sed lex).

Ci hanno provato in tanti!

Ma crearne una in cui tutti abbiano gli stessi diritti è un fantasmagorico assurdo, in quanto gli esseri umani cercano la loro verità e la loro sicurezza pertendo da paure, da culture, da storie personali, memorie, condizioni fisiche e psichiche, sensibilità, intelligenze, coscienze diverse, confliggenti le une con le altre.

La filosofia (e forse la storia o la scienza in genere) dovrebbero esistere proprio per affrontare questi problemi.

E sperano che la religione possa portare l’uomo in una casa dove la coscienza e la conoscenza convivano felicemente.

Ma il fatto che da millenni esistano “sistemi” filosofici diversi fra loro, per non parlare di quelli religiosi o di quelli sociali,  porta a credere che ci sia qualcosa di sbagliato nelle tesi, o che il problema stesso non abbia soluzione.

O, viceversa, che siano possibili infinite soluzioni relative e nessuna assoluta.

O infine che la soluzione non appartenga a quanto conseguibile con strumenti esclusivamente umani e che serva qualcosa di diverso di cui abbiamo cercato alcune volte di parlare in altri interventi in questa e in altre sedi.

Ma mentre un discorso supportato da tesi ed antitesi, da una ermeneutica attendibile e da una meccanica coerenza logica potrebbe trovare ancora accoglienza in entrambi i “contenitori” di cui parlavamo prima, un canto isolato nel deserto avrebbe ben poche speranze di essere ascoltato. E ormai non c’è più chi ricorda come si canti. E’ un lungo tramonto della lirica questo. Lasciamo che si sviluppi da solo.

 

[1] Gentile (Sommario di Pedagogia come scienza filosofica 1934) affronta in un modo assai originale i rapporti fra etica, filosofia e religione dove la logica si converte nell’etica e l’etica approda ad una gnoseologia dell’amore. Partendo da Kant, Hegel e approdando a buona parta della filosofia laica moderna si assiste a teorizzazioni divergenti su questi temi. Il Bene perseguibile seguita ad essere sempre più diviso tra pensiero ed attualizzazione.

[2] I testi di R. Otto e di M.Eliade hanno parzialmente condizionato l’approccio di questo secolo al mito “dell’eterno ritorno” Anche se criticatissimi da un certo mondo accademico la loro influenza ipoteca il tradizionalismo occidentale forse più di quanto lo abbia fatto Guenon. Nell’aspirazione a ricominciare una vita entro una nuova Creazione - aspirazione manifestamente presente in tutti i cerimoniali di fine e di principio d'anno - traspare anche il desiderio paradossale di giungere ad inaugurare un'esistenza a-storica, cioè di poter vivere esclusivamente in un tempo sacro

[3] La morale, in senso moderno ha subito le più incredibili masturbazioni. A partire dal rigorismo di morale di Heghel a cui si contrappone Schiller, la morale  “muore” nella psicologia evolutiva dove la ricerca del benessere si scontra spesso con il concetto di essere bene.

[4] Ho cercato di affrontare tali teorizzazioni in Ritmi e Riti-Simmetria, terza ed. 2006

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