La Tradizione presunta
La carissima amica, recentemente scomparsa, Marisa Martelli, grande stilista del circolo di Helmut Newton (fotografo altrettanto famoso degli anni 50) si innamorò, molti anni fa, del titolo di un capitolo di un mio libro “Maleducazione Spirituale” che era proprio “Credere di aver capito”.
Marisa era stata una delle pochissime allieve e amiche di Julius Evola di cui aveva una considerazione straordinaria. Nel volume “Sarà” che raccoglie le conversazioni di due anni tra Marisa Martelli e il sottoscritto, compaiono spesso considerazioni su Evola, espresse dai rispettivi e spesso confliggenti punti di vista.
Ma sul “Credere di aver capito” siamo sempre stati in perfetta assonanza, pronti a fare marcia indietro, a cambiare idea rispetto a posizioni acquisite (salvo quelle di cui avevamo fatto esperienza “totale” che oggi chiameremmo apofatica). Entrambi eravamo convintissimi che la condivisione teorica, logica, mentale è una barriera terrificante entro la quale si confinano le piccinerie ideologiche (non ideali), le meschinità dell’ego che teme la sconfitta e si difende ciecamente con la superbia.
Diceva Marisa che uno dei mali più grandi di questa società è la presunzione. In genere la presunzione è uno strumento con cui si nasconde l’ignoranza o, viceversa, nasce copiosamente dalla erudizione (anche se tale affermazione può essere ampiamente criticata da ogni “erudito” che si rispetti).
Marisa si riferiva spesso ad Evola che, nelle sue conversazioni private, apprezzava assai poco l’erudizione mentre ammirava la cultura, distinguendo fortemente le due situazioni.
Ma il problema non è sicuramente Evola. Il problema sta nella velocità e nel pressappochismo con cui si etichetta una persona, un “movimento” culturale, una religione, un movimento politico, e quindi una “idea”, sparando a zero, tramite le nostre prevenzioni, pregiudizi e quindi presunzioni, sulle affermazioni di qualcuno.
In questo periodo in cui tutta l’umanità è stata subissata da racconti millenaristi a vario titolo sulle “malattie” presunte o reali, abbiamo assistito a affermazioni apodittiche, pilotate probabilmente da interessi finanziari indicibili o, peggio, da finalità geopolitiche altrettanto indicibili. Tutto questo ha provocato, come ben sappiamo, arroccamenti tutt’altro che sapienziali, su posizioni inconciliabili, sparate a raffica ex cathedra, che hanno mortificato quei barlumi d’intelligenza che ogni tanto trapelano fra le parole di noi umani, dividendo famiglie e distruggendo amicizie.
A me, sopratutto da giovane, è accaduto più volte di esercitare presunzione e pregiudizio sulla base di alcune informazioni asfittiche e limitate desunte da libri, da dichiarazioni dei media, da autorità (presunte magistrali o reali che fossero), ma sopratutto da conoscenze indirette e, in tali modi ho manifestato la forma più idiota dell’ignoranza, quella che “presume di sapere” in base alla informazione.
Ora tale informazione può essere anche pomposamente erudita ma un erudito coi paraocchi è forse come un cafone vestito bene. La quantità di informazioni che oggi è importabile dalla immensa diffusione di testi che parlano di altri testi, che parlano di analisi, di storie e statistiche è oceanica. Si può stare dietro ad una notizia scientifica oppure ai commenti su un autore famoso per anni…senza esaurire e rintracciare tutti quelli che ne hanno parlato.
Molti dicono che tale proliferare di informazioni consente il giudizio la valutazione e perfino il “voto”.
Ahimè temo che non sia affatto vero.
Sempre di conoscenza indiretta si tratta.
Faccio un esempio semi-spirituale: Se non hai mai frequentato una comunità ascetica cattolica, buddista, islamica o di qualsiasi altra tradizione, ma sopratutto se non hai praticato, profondamente, una determimata “forma” tradizionale sperimentandone gli abissi insondabili come fai a sparare giudizi sulla bontà o meno della stessa?
Diceva un mio grande maestro scomparso che prima di dire che un tizio è cretino bisogna vestire i panni di quel tizio. Essere quel tizio.
E forse questo non è impossibile, se ci si arma di umiltà, compassione e amore per la Coscienza Universale di cui anche quel tizio è parte.
Ecco io credo che si possa affermare una qualsiasi forma di fede solo nel momento che, come Dante, hai capito il senso di “intender non lo può chi non lo prova”. E Dante non dice “chi non lo pensa” o “chi non lo ha imparato o studiato”, ma proprio chi non lo prova, ovvero esperimenta con chiarezza oggettiva in ogni parte dell’essere.
Ho visto e seguito a vedere, fanatici appartenenti a frange oltranziste cristiane, neopagane, pseudoislamiche ecc, avventarsi verbalmente e non solo gli uni contro gli altri…senza conoscersi. Ma, peggio ancora, presumendo di conoscere sia la propria “tradizione”, o fede, o struttura settaria nella quale si identificano, come ( e questo è il male peggiore) la cultura e la tradizione dell’ “altro”.
L’ho fatto anche io a volte, e mi dispiace. E oggi, se potessi, andrei alla ricerca di tutti i miei libri (troppi) correggendo tutti i punti dove ho sparato affermazioni apodittiche senza farle precedere da un “forse”, da un “probabilmente”, da “io penso che”, ecc.
Credo che premettere il “forse” ad ogni affermazione…rafforzi la fede nel probabile e nel possibile, ma anche nell’improbabile. Il che, sopratutto oggi, FORSE non sarebbe male.