Editoriale 050 Le Occasioni dello Spirito

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Le vere occasioni spirituali, le cosiddette finestre sincroniche nello spazio e nel tempo (in altri articoli abbiamo parlato di simplegadi o di porte degli Dei, propizie per un salto al di là della dimensione ordinaria) sono moltissime, ma hanno il grave "difetto" di essere quasi invisibili, impalpabili e spesso micidiali per chi tenta di attraversarle. Lo dicono i mistici e gli studiosi del simbolismo e del mito, e soprattutto lo dicono gli alchimisti in apparente contrasto fra di loro. Su tale tema anche il sottoscritto è tornato molte volte, anche nel testo divulgativo di recente pubblicazione Ermetismo e mistica, per le edizioni Simmetria, dove è stato affrontato il problema della "parola" e della "logica" che, sia nell’universo ermetico e gnostico, che in quello mistico, mostrano la loro potenza quali mezzi d’analisi, ma anche i loro limiti verso una conoscenza profonda e sintetica, l’unica realmente importante: quella di sé stessi.

Sotto questo aspetto, tutta la vita umana è un’occasione unica: un’immensa finestra sperimentale dedicata a Kairos, il misterioso Dio dell'Occasione apparentemente casuale ma, in realtà,  sottilmente dipendente dal Fato; tale finestra ci permette di guardare il mondo in cui siamo emersi alla nascita e nel quale, in genere, restiamo immersi fino alla morte.
La nostra osservazione del mondo in attesa che Kairos si fermi alla nostra stazione si avvale di strumenti straordinari, come la poliedrica esperienza sensibile, l’emozione (lunare), la ragione (solare, non sempre tale, in verità), la discriminazione etica (anche questa assai soggetta a molteplici influenze), l’indagine (scientifica o filologica), la curiosità (intuitiva, mercuriale), l’eros (passionale o uranio). Il che vuol dire che, oltre a essere attori del Theatrum chemicum della vita, siamo anche spettatori (a volte assai esigenti, altre volte assai tolleranti e di bocca buona, soprattutto quando assistiamo alle nostre pessime recitazioni). Tutti gli strumenti teatrali dovrebbero esser utili alla biblica conoscenza del bene e del male o, più semplicemente e drasticamente, alla Conoscenza di ciò che stiamo vivendo nel momento in cui lo viviamo. In realtà uno dei tanti conflitti esistenziali che affliggono il filosofo e l’asceta è dato proprio dal fatto che lo spettatore e l’attore spesso coesistono in uno stesso soggetto. Entrambi pensano e giudicano. Lo spettatore, mentre pensa e giudica, difficilmente riesce a vivere ciò che pensa e giudica (cfr. editoriale Priorità e Tradimento). L’attore vive perché sente ciò che sta vivendo, ma nel momento stesso in cui lo pensa per sentirlo meglio, ahimé scende dal palco e se ne va in platea. E con ciò, smette di vivere.

Parafrasando pirandellianamente la Genesi potremmo dire che l’Adamo Edenico, a un certo punto, scelse di "nascere" o se vogliamo spingerci in un azzardo metafisico, scelse di divenire piuttosto che di essere. La cacciata dall’Eden equivale perciò, sia dal punto di vista della teologia gnostica che da una prospettiva ortodossa, a un precipitare da un universo pneumatico e immutabile in uno materiale e cangiante. Ma, al di là della preoccupazione a posteriori per il problema ontologico che ne deriva, moltissimi filosofi e mistici convengono che tale tuffo nella Terra resti pur sempre una straordinaria occasione per aprire una finestra sul Vero. Non a caso Agostino definisce la caduta una  felix culpa e in questo modo viene cantata anche oggi durate i riti del Sabato Santo.

Questa strana espressione, ridotta in un alveo prevalentemente teologico, quando non devozionale, possiede una valenza iniziatica (e non solo ermetica) assi più vasta. Quindi è forse riduttivo vedere la nostra presenza sulla terra e l'"incarnazione" in maniera pesantemente negativa come avviene in molte frange populistiche del cattolicesimo, ma anche dell'induismo, per non parlare di certi aspetti dello gnosticismo protocristiano. Ciò ha autorizzato molti a esibirsi in continue e ammiccanti lamentazioni sulla propria fragilità terrena e, sotto un certo aspetto, assolve automaticamente da ogni errore, da ogni fesseria commessa quotidianamente. Ma il Cristo in noi (o il Sole, per chi necessita di una terminologia più "pagana"), come lo descrivono la Porete o Silesio ma anche Taulero o Suso, lungi dall'essere un che di lamentoso, è una porta sulle stelle, è il salto quantico reso possibile proprio da questa felix culpa.
Rinunciare ad approfondirne il senso e a utilizzare le occasioni di riscatto e ascesi contenute proprio in questa culpa è una vigliaccheria e soprattutto dimostra un'imperdonabile disattenzione. Mancare le occasioni di riscatto e ascesi vuol dire ’darsi la morte spirituale, quella inappellabile, quella di cui approfitta Berlicche nel romanzo di Lewis: è la via per la seconda morte, quella più terribile; è il portone spalancato (altro che piccola finestra!) che conduce verso l’Akedia, oggetto di numerosi altri nostri interventi su questo sito e altrove.

Proprio per tale ragione riteniamo che l'intera macchina della "modernità a ogni costo" stia ormai producendo un mondo di morti viventi, in cui ogni colpa è stata assorbita dal rumore e ha perso la sua forza redentiva e gnostica. Un mondo di zombies virtualizzati, resi completamente sordi da musiche, ritmi, cibi e  clik informatici, tecnologie velocizzanti, climi costantemente fragorosi, utili a chiudere ogni finestra, ogni occasione, e a completare l’opera della vera precipitazione nella valle delle nebbie - altro che Avalon! Un mondo privo del silenzio per meditare, riflettere e pregare, dove non ci sono più lacrime, ma solo abulia mascherata da eroismo.

I deficienti millenaristi e catastrofisti che sempre più profetizzano il massimo bene (o il massimo male) alla continua ricerca di distributori automatici di verità (come se la Verità fosse qualcosa che si vince alle slot machines) sono il primo sottoprodotto di questo disastro: è una forma di "abulia attiva" che promuove l’attesa di qualcuno che svegli "gli altri" (ripeto, gli altri, ovviamente) dai loro errori e dal loro sonno, in una logica infusa di protestantesimo maleintepretato, dove ci si dimentica di svegliare sé stessi.
E invece, al di là dei catastrofisti, la catastrofe è già avvenuta. Anch’essa è un’occasione per svegliarsi, forse una delle più straordinarie e terribili che il precipizio nella laicità ci ha conservato. Chi non lo fa e preferisce guardare le profezie in televisione e ubriacarsi di complottismi, sceglie di non vedere gli ultimi passaggi di Kairos, di non vedere le ultime occasioni di un Angelo che prima o poi potrebbe anche stancarsi di ripassare dalle nostre parti.
Una volta, un compassionevole Maestro (uno dei pochi autentici che ho incontrato) mi disse che Kairos non è vestito da profeta o da guru; è un ragazzaccio che si mimetizza sotto varie forme, si nasconde, è veloce, non ha nulla di perfetto, ma è perfetto proprio nella sua imperfezione; non è lì a nostra disposizione come un treno alla stazione. Può essere un gatto, un uomo, un brigante, un assassino; può nascondersi negli errori di un amico, negli inciampi del maestro, nel bisogno dei figli, nel bacio dell’amante. Non è mai come ci piacerebbe che fosse: alto, biondo, bello, profetico, ritualmente perfetto. Non dice: “prego, questa è la via della conoscenza, anzi, è la via iniziatica, venga che la conduco all’illuminazione".
Ma siccome nel nostro film salvifico tutto deve avvenire secondo i nostri stereotipi mentali, immaginiamo che ci debba essere una specie di monte Athos, su cui il guru debba essere straodinario come Milarepa, e le ascesi debbano svolgersi come nei film di Zeffirelli. Perfino i dolori, le fatiche, e le prove dorebbero svolgersi come sta scritto nel “manuale del perfetto iniziato" (cioè nel nostro).
Pagliacciate.

Noi siamo le pratiche, noi siamo Milarepa, noi siamo l’iniziazione. Ma bisogna accorgersene! E invece troppo spesso quando compare il guru autentico (quello che non mostra mai d’esserlo e che però ha sempre la cortesia di indicare la direzione agli uomini di buona volontà), quando appare il maestro che ci fa vedere come stanno le cose, ci spaventiamo a morte e andiamo a cercare altro. Dimmi tutto, ti prego, ma non la verità.
Questa è la caduta vera, quella che ci propone sempre "altro", in una spirale relativistica senza fine.
Questa scelta dell’inseguimento ossessivo-compulsivo del relativo (con la scusa del voler cercare l’Assoluto) ha i suoi aspetti drammatici che possiamo subire quale conseguenza della “colpa” (propria della tradizione giudaico cristiana) o quale micidiale e fatale atto divino, come in alcune tradizioni pagane o in altri aspetti della stessa mistica cristiana.

Ma Kairos non bada affatto alle nostre paranoie e seguita a fare il suo dinamico splendido lavoro. In accordo con Eros ed Ermes (gli altri suoi impertinenti e giovani amici alati, scanzonati compagni di cosmici giochi) offre le sue occasioni, le sue finestre nonostante il nostro perenne affanno a cercare altro, a cercare altrove. Apre le porte sotto il nostro naso, davanti all’uscio di casa, in un comodo divano vicino a un camino, sulla cresta di un monte, durante una passeggiata in un bosco, durante un ingorgo di traffico, mentre ci cade il dentifricio, ma, ancora una volta, bisogna accorgersene, bisogna accorgersi delle infinite porte che si aprono intorno a noi.

Un’anima cieca non le vede e cerca affannosamente l’evento speciale, il giubileo, il super-guru che più iniziato di così non si può, la pratica perfettamente riuscita, la preghiera galattica, il magico incontro con la vita o con la morte (degli altri), il solstizio o l’equinozio (non però uno qualsiasi, ma proprio quello giusto), la lunazione perfetta, etc..
Ancora una volta lo ripetiamo: pagliacciate.

Lo spirito è libero ed è potente; e può essere forte come un tornado o leggero come una brezza. In entrambi i casi può sorprenderci. Ma pretendere di esser sorpresi a percepire la brezza del mattino e magari a trovare pure la rugiada celeste, chiusi in casa, con le finestre tappate, avvinghiati al nostro IPad o al nostro Smartphone, e per di più dentro uno scafandro da palombaro, bombardati da una musica techno che proviene da un auricolare è forse chiedere un po’ troppo: perfino a Kairos.

Claudio Lanzi

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