Fin da ragazzino domandavo ai miei genitori a cosa servisse l’ora legale, ricevendo risposte abbastanza contraddittorie. Mio padre la riteneva una fesseria e mia madre faceva la vaga. A incrementare l’angoscia provocata da questa lacerante domanda c’era quell'aggettivo: "legale". Accipicchia, vuol dire che prima dell’ora legale ce n'era una illegale? In questo caso, mi dicevo, bisognerebbe provvedere con delle leggi. E come ci permettiamo di tenere qualcosa di legale vicino all’illegalità?
Una volta cresciuto, compresi che tutto dipendeva dal modo alienante in cui la società tecnologica si relaziona col tempo e coi ritmi naturali, col normale avvicendarsi del giorno e della notte, delle stagioni, dei solstizi, degli equinozi. Insomma, compresi che tutto dipendeva dall’uso assurdo, sempre più volgare e affannato, che facciamo della luce solare e delle ore notturne. Tale disastro è ascrivibile all’epoca industriale in quanto alla società contadina della fine dell’800 e degli inizi dello scorso secolo, nonostante alcuni tentativi di qualche amministrazione cittadina, un’idea del genere non sarebbe mai venuta in mente. Un uomo che segua i ritmi naturali si ritira in casa quando è buio e si alza quando c’è luce. A volte può accadere che estenda le sue attività anche nella notte oppure che dorma durante il giorno: ma questa dovrebbe essere un’eccezione e non la regola. A questo proposito consiglio il simpatico articolo su Focus: https://www.focus.it/cultura/curiosita/ora-legale-effetti
Oltra a conciliare il riposo, la notte (in un mondo silenzioso ovviamente e non in uno rumoroso come il nostro) aiuta a raccogliere le idee, a farle riposare in un’anima quieta e ad aprire il cuore all’intuizione e al contributo meraviglioso dei sogni. La notte apre l’attenzione al buio, alla piccola morte, dove perdiamo il controllo sulle cose e dove dobbiamo arrenderci al sonno.
Comincerei perciò a prendermela con gli orologi, che hanno introdotto una falsa misura del tempo che ci illude che la giornata sia divisa in 24 ore tutte stupidamente uguali, e che immaginamo di poter utilizzare a piacere, dividendole come ci pare. Non è più il corpo che ci dice quanto dormire, ma è l’orologio: e chi gli ha dato il permesso?
In realtà le "ore" servono esclusivamente a stabilire la quantità del lavoro, a "pesare" i rendimenti di ognuno in base a quanto abbiamo "prodotto" per ogni ora, oppure a scandire il misterioso tempo libero. Infatti l'esistenza di un tempo libero fa presupporre che esista un tempo prigioniero. Forse è un calembour: non è il tempo a essere libero o prigioniero, ma è l’uomo, nei suoi alienanti rapporti con se stesso e col fluire della vita che riesce continuamente a imprigionarsi.
Tale schizofrenica asincronia della misura del tempo è, in verità, una simpatica follia moderna in quanto le "Ore" del mondo classico oltre a essere triadiche, come le Parche e le Cariti, rappresentavano le valenze primigenie dell’universo, cambiavano la loro danza fra estate e inverno fra giorno e notte ed erano condizionate da una ritmica sacra e che dipendeva dal luogo, dalla luce, dal buio, dalle stagioni (la stessa che, parzialmente, ancora adottano in alcune comunità ascetiche).
Esse cedevano il passato al futuro ed erano le garanti di una possibilità di percepire il presente. A volte la loro danza era lentissima, a volte frenetica. Non sempre, infatti, il tempo degli uomini ha lo stesso peso, lo stesso valore.
Lo sanno bene i bambini quanto la misurazione del tempo fatta con gli orologi sia assurda! Lo sanno quando giocano e il tempo magicamente si ferma, oppure quando scorre velocissimo compattato dalla frenesia e dalla bellezza di alcuni giochi; lo sanno quando l’incanto sincronico apre delle finestre sul tempo che offre una valenza assolutamente magica (parlo dei giochi antichi, ovviamente, in quanto quelli moderni sono diabolicamente legati alla falsa tempistica scandita dal computer). Lo sanno quando una noiosa ora di studio, condotta in un’alienante e fredda aula scolastica da una maestra maldisposta, li porta a constatare che un’ora di orologio può esser lunga un’eternità.
Lo sapeva bene mio nonno che a volte, entusiasmato dal suo lavoro, proseguiva a fare ricerche nel suo laboratorio per 20 ore di seguito, senza fermarsi, dimenticandosi anche di mangiare perché innamorato di un suo progetto. In quel caso per lui le ore erano minuti.
Lo sa anche ognuno di noi quando si rimbambisce davanti a un televisore o quando condiziona le sue giornate attraverso la virtualità dei social media, che distruggono la bellezza del tempo attraverso la falsità dei rapporti sociali che, ovviamente, non rispondono più alla ritmica giorno-notte ma a quella assurda di uno schermo che non ha né spazio ne tempo "naturali", ma solo Avatar (altro termine assurdo importato dall’Oriente).
A fronte dell’ipocrita assunto che l’ora legale serva per risparmiare energia, bisognerebbe ricordare che, da quando esiste la vita sulla terra, c’è sempre stata la lodevole e naturale abitudine di alzarsi presto durante l’estate e più tardi durante l’inverno per utilizzare al meglio la luce del sole. Perciò sarebbe stato sufficiente decidere che, in un determinato periodo dell'anno ci si alza prima, non solo per andare nei campi ma anche per andare in fabbrica o in ufficio o in qualsiasi altro posto. Ma purtroppo sappiamo bene che il meccanismo dell'ora legale, al pari d'infiniti altri trucchi che portano a equivoci straordinari sul significato del tempo, dello spazio e della vita, è solo uno degli imbrogli messi in atto per condurre l’uomo sempre più verso la dimensione del Golem, della macchina eugeneticamente meticcia e perfetta, e sempre più lontano dalla sua natura libera e dal contatto con la sacralità dell’anima. Appare evidente che, se tramite la luce artificiale l’apparenza del giorno si trasferisce nella notte (luogo dove si esplicita la deficienza delle varie "movide" tanto amate dalla sclerotica mente dei nostri sindaci) e se il sonno è limitato in un angolo, i bioritmi naturali vengono stravolti: l’homo insipiens si illude che gli venga relatati il divertimento e nel contempo è spinto verso una perenne distrazione che lo porta a dimenticarsi di se stesso (cosa che non dona alcun riposo, ma solo un'acquiescenza verso le nuove regole di massa, di appiattimento sul caos e sul grigiore collettivo).
Tutto questo è monetizzabile in un solo invito: “Consuma nel caos e lascia che il caos ti consumi”.
In omaggio al consumo il corpo crederà di dover rispondere agli stimoli elettrici anziché a quelli solari e, come accade per le oche ingrassate con dei tubi che le rimpinzano di cibi per sviluppare il fois gras, ci rimpinzeremo di inutilità, di sovrappiù intellettuale, fisico, psichico; e pensando di "vivere più intensamente" svilupperemo il nostro fegato ingrassato d'insulsaggini.
Giovani e vecchi, ce la pigliamo facilmente con le apparenze che ci propinano i media, con quelle che ci toccano il portafoglio e con ciò che riteniamo responsabile della nostra indigenza, con i partiti, con la politica, con le guerre vere e false, coi mostri di turno, gli scandali del momento: con tutti i mali relativi e assoluti che ci vengono raccontati e che pensiamo di percepire nella nostra visione millenaristica o catastrofista o, assai più spesso indifferente.
E invece queste semplici manovre "tecniche" tese allo stravolgimento del tempo e dello spazio, tese a contaminare la biologia euritmica naturale, passano subdolamente come "miglioramenti d'efficienza", mentre nascondono intenzioni socialmente e spiritualmente devastanti. E proprio per la loro apparente leggerezza e innocuità sfuggono quasi a tutti, anzi vengono subite con acquiescenza e partecipate come nuovi ideali di bellezza.
Vorremmo elencare qualcuna di queste stranezze, tanto per aprire il campo a riflessioni sulle sostituzioni progressive di ciò che è tradizionale e naturale con ciò che è effimero e artificiale. Sostituzioni massicce perpetuate in pochi decenni, ma ormai accettate come normali. Anzi contrabbandate come diritti, mentre in realtà sono obblighi. Insomma l’ingresso di una nuova “legalità” civile che si occupa di lavoro, divertimento, gestione del tempo, e che distrugge con metodo la sacralità della vita e del Tempo.
La scuola dell’obbligo (vi abbiamo dedicato altri editoriali).
La repubblica che "deve" essere basata sul lavoro (vedi editoriali precedenti).
L’obbligo di pagare un canone sia per ciò che vuoi che per ciò che non vuoi.
L’obbligo di dichiarare dove vivi.
L’obbligo di farti curare da un medico e non da uno stregone.
L’obbligo di vaccinarti (mai così attuale come ai tempi dell'attuale revisione, 04/12/2021!).
L’obbligo di dichiarare che non vuoi donare i tuoi organi, che in caso di silenzio/assenso vengono prelevati appena il cervello appiattisce le sue onde.
L’obbligo di ascoltare solo un certo tipo di musica in tutti supermercati.
L’obbligo di pagare dei contributi anche se non prenderai mai la pensione.
L’obbligo di rispettare l’ora legale.
L’obbligo di fare ore di fila per avere il diritto di pagare le tasse.
L’obbligo di non lavorare il fine settimana.
L’obbligo di avere le ferie.
E potremmo continuare all’infinito in questo elenco di "diritti", ma la storia dei diritti che divorano la sacralità del tempo somiglia vagamente a quella delle carte di credito che invece sono di debito.
Claudio Lanzi