Premessa
In questi ultimi mesi assistiamo a un proliferare di "petizioni pubbliche" online gestite da varie organizzazioni nazionali e internazionali. All’inizio, lo ammetto, firmavo quasi tutto. Poi mi sono accorto che se qualcuno avesse voluto indagare sulle mie idee avrebbe potuto prendere la somma delle mie sottoscrizioni e, integrando le varie risposte, avrebbe potuto sapere facilmente cosa pensavo dei vari temi sociali, qual era il mio orientamento politico, economico, religioso, etc. ma soprattutto, avrebbe potuto sapere qualcosa delle mie potenzialità come elettore, come cittadino votante (che è l’unica cosa che interessa realmente agli amministratori pubblici). Per cui. dopo tale folgorazione sulla via di Damasco, ho di molto ridotto il mio solerte interventismo.
Più tardi mi sono convinto che 10.000 petizioni equivalgono a nessuna petizione, forse perché diventa impossibile seguirle, indirizzarle, dar loro la giusta importanza e gerarchia filosofica e operativa. Ancora una volta la quantità sommerge la qualità e tutto diventa uguale a tutto.
Bene, mi sono detto. Anche ‘sta storia delle petizioni è diventata uno dei mille tentacoli del Grande Fratello e si diluisce nella grande pentola dove si cucina tutto e il contrario di tutto. Resta il fatto che mi pare mostruoso come tutte le petizioni (e immagino che almeno alcune vengano fatte in buona fede) si occupino di temi con un forte impatto emotivo: dai canili lager ai mille temi ecologico-salutistici, dagli scandali politici, all’uso proprio e improprio dell’energia o dei mezzi pubblici e privati, agli OGM etc.. Tutte le migliaia (migliaia!) di petizioni che riceviamo chiedono l’abrogazione di leggi vecchie o la creazione di leggi nuove, l’assoluzione di alcuni e la condanna di altri. Ma nessuna arriva alle cause ontologiche, alle origini, alla filosofia distorta che determina un'efferatezza o un abominio o una prevaricazione. E agire sugli effetti, sui vizi attraverso sanzioni, penitenze, multe, liberazioni o imprigionamenti non risolve il problema delle cause. Anzi, a volte limita gli effetti, ma a volte li amplifica. Tutto si ripresenterà drammaticamente sotto altra forma, con altre leggi, con altri uomini che abrogheranno le leggi precedenti e ne creeranno di nuove, nella pia illusione di progredire eticamente, spiritualmente; di formare cioè una società migliore (migliore di che o di chi?)
Dietro i veli del buonismo ipocrita si cela però la potenza mediatica di personaggi squallidi, che usano il cancro e le malattie nuove e vecchie dell’umanità per chiedere fondi che servono per dubbie ricerche. Dietro tali veli si avalla l’invasione incontrollata di migranti disperati, quelli che non affogano a migliaia, una volta approdati, vengono consegnati alla mafia o alla camorra (ma ovviamente noi siamo buoni e accettiamo tutti). Dietro tali veli, sedicenti sacerdoti si dimenano in balli latino-americani sui sagrati delle chiese. Dietro gli stessi veli si proclama la democraticissima scuola senza crocefissi, e s'insegna ai bambini la masturbazione e l’omosessualità e si proclama la libertà di "scegliere" se essere maschi o femmine, o anche di non scegliere. Dietro quei veli si decide a quale mese di gravidanza è legittimo uccidere un figlio o si spiega che le stragi democratiche sono buone mentre quelle dittatoriali sono cattive. E col gioco delle ipocrisie potremmo continuare all’infinito e nemmeno un ingenuo potrebbe no accorgersi che le stragi, le malefatte, le efferatezze, gli oscurantismi e tutti i vizi abominevoli che contrassegnano la storia dell’umanità e dei singoli individui sono identici a sé stessi da quando esiste l’uomo.
Ma nel recente passato l’ipocrisia ha assunto dimensioni mondiali. La stessa puntuale e "filologica" ricerca di un male assoluto o di un cattivo assoluto è uno dei frutti più interessanti di tale ipocrisia. Forse la coscienza dell’uomo, sentendosi oppressa da un senso di orrore per le cose immonde che riesce a compiere quotidianamente tramite l’indifferenza, cerca da sempre un colpevole, un capro espiatorio su cui scaricare la propria angoscia. E la storia è piena di capri espiatori e di stragi di innocenti.
I filosofi eredi della tradizione eraclitea avevano ben compreso che questa dinamica, questa guerra permanente che contrappone le forze costruttive e distruttive dell’universo, segue una legge cosmica assai più grande del nostro minuscolo cervello. Mors et vita duello viene spietatamente recitato nel sapientissimo inno Victimae Pascalis Laude.
Passando all’aspetto animalista delle ipocrisie buoniste, ricordiamo che il 60% degli uomini mastica cadaveri di decine di milioni di animali, di docili agnelli, di graziosi vitelli, di giovani mucche, di simpatiche galline, torturate e massacrate nei macelli; tali masticatori e divoratori di cadaveri sostengono che questa è cosa buona e giusta, perché gli animali sono in qualche modo a noi "inferiori". Gli stessi agnelli e vitelli, e conigli, e pulcini, e polli, visti nei bucolici prati delle nostre campagne, o, assi più spesso, nei cartoni animati di Walt Disney, affascinano il lirico cuore di adulti e bambini che tornando a casa la sera, di fronte a un’ottima bistecca, amano ricordare la bellezza della mucca nell’alpeggio o la simpatia del coniglio o del maialino. Eppure si tratta gli stessi animali che da un lato vengono smembrati e macellati per deliziare le nostre tavole, ma dall'altro vengono usati per farci compagnia e perfino (ipocrisia sublime) per la pet therapy! E poi, ovviamente, ci sono negozi di peluche a forma di coniglietto, di agnellino, di maialino e di tutti i cuccioli di animali possibili e immaginabili; buoni per inondare di tenerezza il compleanno dei nostri bambini e delle nostre fidanzate. Buoni anche allo spiedo, ovviamente.
Ma, è stato detto tante volte, la mucca è scema e noi, invece, siamo intelligentissimi; anzi siamo superiori (cfr. Gli animali e l’anima) quindi la possiamo ammazzare perché la mangiava pure Gesù. Ma questo non è razzismo? Oppure il razzismo si applica solo agli uomini? Non sto dicendo se bisogna essere o non essere razzisti, essere o non essere carnivori o vegetariani: sto cercando di porre in evidenza come l’uomo sia orribilmente e "naturalmente" razzista, cioè tenda a difendere ciò che lo riguarda direttamente, i suoi interessi primari, i suoi consumi, i suoi piaceri, le sue sicurezze, i suoi bisogni, veri o presunti, e se ne freghi metodicamente di quelli del cosiddetto prossimo. E per prossimo intendiamo tutto ciò che lo circonda, ecioè non soltanto gli altri esseri umani. Gli animali sono il prossimo, le piante sono il prossimo, così come le montagne, il mare e le profondità della terra sono il prossimo. Però tutto diventa particolarmente prossimo quando è "mio" e non è prossimo quando è "tuo". Il mio coniglio è decisamente prossimo per cui lo tengo affettuosamente in casa, lo coccolo e guai a chi me lo tocca: quello degli allevamenti del mio vicino invece è un po’ meno prossimo per cui me lo mangio. Ancora meglio se il cadavere è già appeso a testa in giù dal macellaio. Ha smesso di essere coniglio, anzi, ha cambiato nome: è diventato "cibo". Il mio orto lo preservo e lo pulisco, quello del mio vicino lo inquino: e così via.
C’è qualcosa di strano in tutto ciò. Anche mia moglie e mia figlia sono prossimo. Ma la moglie e la figlia del mio vicino sono desiderabili e magari anche un pochino violentabili. Del resto se non ci fosse l’appetito di appropriarsi delle cose e addirittura della vita "prossimo" nessun impero sarebbe mai sorto, nessuna nazione sarebbe diventata "grande", nessuna civiltà si sarebbe mai espansa. Perché?
Ecco: qui torniamo alle decine di petizioni di cui sopra, lanciate in buona o cattiva fede; inciampano nell’ontologica ipocrisia, che pone l’obiettivo a un centimetro dal proprio naso, che si propone di curare la ferita, ma non l’infezione che la fa suppurare. Troppo scomodo curare le cause. Questo fu talmente chiaro ai produttori di determinati oggetti d’uso alimentare che nel dopoguerra, quando la pubblicità mediatica massiva era ancora ai suoi primi passi, venne inventato un formaggino morbido per bambini, dal nome potentemente evocativo: il formaggino “Mio” (quando era dell'italiana Locatelli e non della Nestlè). Il nome solleticava potentemente e subdolamente, evocando le sdolcinatezze della suggestione affettiva, e facendo appello a uno degli istinti primari: quello del possesso e del potere, che ovviamente è libero e spontaneo nell’anima prepotente del bambino (che, quantomeno, ha la buona creanza di non nasconderlo dietro la ipocrisia dell’adulto).
Splendido messaggio subliminale di 60 anni fa per la mente duttile e ricettiva dell’infanzia! Ma nel frattempo il marketing ha fatto passi da gigante e ormai si avvale degli specialisti nella suggestione occulta, che usano strumenti meno ingenui, più indiretti e subliminali e assai più diabolici ed efficaci.
Bene. Questo concetto del formaggino Mio è diventato un modus operandi della società attuale. La sdolcinatezza e il piacere, che nascondono il possesso, l’orgoglio, la prepotenza, sono dietro ogni messaggio promozionale, solleticano tutti i sensi finalizzati all’acquisizione dell’oggetto magico che assicura il possesso, il potere e il piacere. Perfino l’etica è diventata un oggetto da promuovere facendo leva sul mio, sull’amaro che serve che per provare "il mio gusto pieno della vita", o sul gioiello che seduce e mi libera, o sulla mia auto che è talmente ecologica che mi rende buono anche se non voglio. E perfino la banca diventa simile a un istituto di beneficienza, nel momento in cui mi fa credere d’essere mia.
Claudio Lanzi