Le biografie dei grandi maestri d’Oriente e d’Occidente ci raccontano come tutti i ricercatori sinceri del vasto panorama sia mistico che ermetico, o gnostico o religioso, (parliamo di quelli realmente affamati di conoscenza e di verità e non di quelli bisognosi di leggi e regole preconcette) siano in genere andati a studiare presso i sopravvissuti di antiche scuole filosofiche. Questa ricerca dovrebbe presupporre uno scambio tra la sincerità di chi insegna e quella di chi cerca.
Sincerità contiene i fonemi sem-kere: sem significa "un solo" e kere ha il senso di "crescere". Quindi il termine potrebbe significare una sola crescita, attribuibile anche alle piante che abbiano una sola radice, una sola direzione, ascendenza, origine.
Ma dietro la ricerca possono nascondersi, consapevolmente o inconsapevolmente, motivazioni subdole e, come dice spesso l’Ecclesiaste, forse uno solo su migliaia e migliaia di esseri umani, integrando con letture e approfondimenti personali quanto appreso in anni e anni di apprendistato fedele, pieno di rispetto e amore, può acquisire la capacità di trasmettere qualcosa d'importante alle generazioni successive.
Questo stretto passaggio sancisce il mantenimento efficace e sincero del lignaggio iniziatico o anche di quello spirituale (vedi quanto accaduto nella bellissima sinergia tra Marpa e Milarepa, o in quella tra Sinesio e Ipazia, o in quella tra Giovanni della Croce e Teresa d’Avila, o tra Hillel di Verona e Abulafia o tra Guwaynì e Al Gazalì… e per molte altre coppie maestro-allievo).
Ma come diceva con grande schiettezza e umiltà Paolo Virio, molti sedicenti ricercatori (in genere quelli che studiano al solo scopo d'insegnare e non d’imparare) si disperdono mettendosi al servizio del mondo, della fama, della superbia, dell’orgoglio, insomma, del cono d’ombra. Evitano scrupolosamente non solo di ringraziare chi hanno seguito per anni, ma perfino di ricordare dove hanno appreso ciò che pretendono d’insegnare e sventolano idee non loro; tale modus operandi ha coinvolto celebri nomi del passato, basti pensare a Giordano Bruno, che non menzionò mai né Lullo né Agrippa, dai quali aveva copiato intere pagine, oppure allo stesso Leonardo, che finse di non conoscere Piero della Francesca, da cui aveva appreso tutto ciò che sapeva sulla prospettiva.
Oggi tale pessima abitudine è amplificata da questo mondo interconnesso per cui appena qualcuno si "informa" su qualcosa, inizia subito a "insegnarla" e la mette in rete, amplificando deformazioni e fraintendimenti. Su questo argomento, sui falsi profeti, sulle mistificazioni, e l’arroganza dei venditori di fumo, ci siamo impegnati in vari interventi fra i quali ricordiamo due libretti sistematici: Maleducazione spirituale e l’Anima Errante. Quanto sopra esposto potrebbe forse configurarsi come un'assoluta assenza di educazione non solo spirituale ma anche etica, psichica e materiale.
Purtroppo però, con sempre maggior vigore e protervia, schiere di avvilenti personaggi fanno ben di peggio e, aiutati da quelle fogne a cielo aperto che sono i social media, spargono le quotidiane stille di saggezza, accompagnandole con informazioni morbose, superficiali e catastrofiste, amplificando le voglie dei cosiddetti guardoni del mistero. Questi ingrati, dopo aver appreso superficialmente una manciata di pratiche, carpendo la fiducia dei pochi eredi di tradizioni autentiche ancora viventi, dopo aver maldestramente tentato di applicarsi per qualche mese o qualche anno, si sono resi conto di non farcela. Si sono cioè accorti che il "maestro" li teneva al palo e non li faceva avanzare più di tanto perchè non li giudicava pronti o degni di conoscere parti più profonde e sottili di una determinata tradizione (tale tradimento è stato subito da De Lubicz, dalla Virio, da Evola, da Reghini e molti altri). E poiché tra il dire intellettualmente e il fare spiritualmente c’è un oceano da attraversare, non avendo digerito l’insuccesso spirituale non hanno mai affrontato la navigazione necessaria in tale oceano. Perciò alcuni di loro, intossicati dall’invidia, dalla frustrazione dell’insuccesso e sfruttando quel pochissimo che hanno capito, si sono gettati nell’insegnamento a oltranza, seguendo il potente principio, ormai molto in voga: quando non sai, insegni e quando non hai capito qualcosa, spiegala agli altri.
Ma si possono raggiungere vette farisaiche ancor più elevate: infatti, alcuni fra questi disadattati, ligi a quanto descritto nelle favole d’Esopo, di Fedro o del grandissimo Trilussa, approfittando degli inevitabili momenti di crisi di ogni struttura (in quanto le coltellate si danno rigorosamente alle spalle di chi è debole e mai sul petto di chi è forte) si applicano nel denigrare proprio ciò che avrebbero voluto ricevere e che a loro non è stato dato. L’operazione denigratoria, come insegna bene Shakespeare nell’Otello, avviene lanciando calunnie e sospetti verso luoghi e persone dove fino a pochi minuti prima si erano portati incensi e ci si era prosternati in genuflessioni non richieste. Ma, cari amici, Audaciter calomniare semper aliquid haeret (calunnia senza timore: qualcosa resta sempre attaccato). Questa frase, filosoficamente rielaborata da Francesco Bacone, è di un cinismo sconcertante (forse per questo piaceva tanto a Voltaire che la trasformò in "calunniate, calunniate, qualche cosa resta").
Il detto è disgustosamente attuale e ben si applica alla vita di tutti i giorni. Si può massacrare qualsiasi ideale attraverso la calunnia e tale sistema, che è ormai quello più usato in politica, è caratteristico di una società di vigliacchi. Per cui, per consolarci un poco e sorridere di fronte a questo oceano di melma, possiamo ricordare un paio di poesie brevi di Trilussa, il nostro caro amico di famiglia che, come sempre, estraeva dalla saggezza popolare raffinate intuizioni sulla coscienza degli uomini.
Er rospo e la gallina
Un rospo ner sentì che na gallina
Cantava come un’anima addannata
Je domannò – Ched’è che strilli tanto?
- Ho fatto un’ovo fresco de giornata:
- rispose la gallina – apposta canto.
- Fai male- disse er Rospo –male assai!
Tu lavori pe l’ommini ma loro
come t’aricompensano er lavoro?
Te tireranno er collo
Com’hanno fatto ar pollo, lo vedrai!
Nun te fidà de sta canaja infame
Che t’ha cotto er marito ne la pila
E un fijo ner tegame!
Nun te fidà de sta gentaccia ingrata
Che te se pija l’ova che je dai
pe facce la frittata!
Pianta ‘sti sfruttatori, impara a vive!
Si loro vonno l’ova de giornata
Nun je da retta: fajele stantive!
La lucciola
La Luna piena minchionò la Lucciola:
- sarà l’effetto de l’economia
- ma quer lume che porti è debboluccio…
- Si - disse quella – ma la luce è mia.
Claudio Lanzi